VIOLENZA PATRIARCALE: INTERVISTA ALL’OPERATRICE D’ACCOGLIENZA CLAUDIA ARIFI

Claudia Arifi

Claudia Arifi è laureata in Sociologia e criminologia e sta per conseguendo la seconda laurea triennale in Scienze dell’educazione. Giovanissima e, al contempo, con una lunga esperienza sulla violenza di genere. Arifi, ogni giorno, lavorando come operatrice di accoglienza di donne vittime di violenza, si scontra con il paradigma patriarcale.

STORIA PROFESSIONALE CLAUDIA ARIFI

Sono Claudia Arifi e ho 28 anni, sono laureata in Sociologia e criminologia presso l’università degli studi G. D’Annunzio di Chieti, attualmente sto per conseguire la seconda laurea triennale  in Scienze dell’educazione.

Il mio percorso professionale ha origine nel 2017, anno in cui ho svolto il servizio civile presso il centro antiviolenza e la struttura protetta per donne e minori vittime di violenza gestite dalla Società Cooperativa Sociale Horizon Service di Sulmona. Successivamente ho lavorato come educatrice a supporto dei minori con disabilità e in due comunità educative a sostegno di minori portatori di disagio sociale infantile.

Da circa due anni sono un’operatrice d’accoglienza presso una struttura protetta per donne e minori vittime di violenza gestita dalla Società Cooperativa sociale Horizon Service.

La struttura protetta accoglie appunto donne e minori che hanno subito violenza fisica, sessuale, psicologica, emotiva ed  economica  da parte del partner, ex partner o qualsiasi altro componente  della famiglia.

L’operatrice di accoglienza si occupa insieme ad un’equipe multidisciplinare, formata da sole donne, dell’ascolto, sostegno e supporto alle donne vittime di violenza e dei loro figli/e accompagnandole verso un percorso di uscita dalla relazione violenta.

Il percorso che si affronta è incentrato in primis sulla protezione del nucleo famigliare, proprio per questo le strutture protette sono ad indirizzo segreto, successivamente si lavora in sinergia con la donna sulla consapevolezza delle violenze subite e sugli effetti che la violenza assistita ha sui minori, sulla riappropriazione del propri ruolo genitoriale che la maggior parte delle volte viene meno a causa dei maltrattamenti e sull’acquisizione dell’autonomia su tutti i fronti.

INTERVISTA DI GENERE A CLAUDIA ARIFI

Arifi, per introdurre l’argomento violenza sulle donne, ahinoi sempre più presente nella quotidianità, la sanguinosa vicenda di Giulia Cecchettin potrebbe segnare una svolta definitiva per il cambiamento della cultura patriarcale?

Il femminicidio della giovane ragazza Giulia Cecchettin è purtroppo l’ennesimo di tanti femminicidi oramai diventati parte integrante della cultura in cui attualmente viviamo.

Rispondere a questa domanda risulta abbastanza complicato, io mi auguro che possa in qualche modo segnare una svolta definitiva per il cambiamento della cultura patriarcale, ma con molta sincerità e rammarico le rispondo con un grande NO, non credo che questa vicenda possa segnare il cambiamento di una cultura talmente radicata nella nostra società attuale che risulta difficile da scardinare, anche davanti alla morte e mi vien da dire la 106esima morte, perché dal 1° Gennaio ad oggi sono 106 le donne morte per mano di un uomo, 87 delle quali sono state uccise in ambito familiare e nella maggior parte dei casi il famigliare era un partner o Ex partner della donna.

Oramai siamo sempre più pervase da questa cultura che continuamente ci incatena in quelli che sono gli stereotipi di genere e i ruoli prestabiliti di una “brava” donna. Il patriarcato è ormai presente in tutti gli ambiti della nostra vita, dall’ambiente famigliare, alla scuola, al lavoro e anche nelle istituzioni. L’uomo viene in qualche modo visto come colui che detiene il “potere”, ed è colui che ha maggiori privilegi a discapito delle donne. L’uomo all’interno di un sistema famigliare ad esempio rappresenta il capofamiglia che prende decisioni e che è il responsabile del benessere anche economico della famiglia, la donna la maggior parte delle volte viene relegata a quelle che sono le cure domestiche e dei propri figli anche se lavoratrice, perché alcune mansioni sono “cose da donna”.

Già da bambini ci vengono attribuite delle peculiarità caratteriali, delle preferenze e vengono già individuate le mansioni che ad ognuno spettano, un bambino ad esempio non deve essere fragile, non può piangere altrimenti è una “femminuccia”, il vero bambino “maschio” deve essere invece forte, irruento e spavaldo, deve piacergli rigorosamente il colore blu e ovviamente deve giocare con le macchinine, mai giocare con le bambole ad esempio perché è un gioco da femmina.

Alle bambine invece viene insegnato che si può essere fragili che possono piangere perché tanto è una caratteristica prettamente delle donne piangere, viene insegnato che il vero “maschio” le proteggerà, perché si le bambine e le donne devono essere sempre protette da qualcuno e ovviamente da una figura maschile. Alle bambine deve poi piacergli il rosa e devono giocare con le bambole, la cucinetta e tutto ciò che riguarda la cura, perché una brava bambina deve essere sempre ordinata, curata, composta e paziente, non è possibile avere altre caratteristiche altrimenti vengono catalogate come dei “maschiacci”.

Ecco questa cultura porta poi le bambine a diventare delle donne con delle credenze e sensi di colpa troppo radicati, con la certezza che in qualche modo bisogna sottomettersi alla figura maschile perché l’uomo è forte ed è colui che prende decisioni alle quali la donna deve sottostare. Pertanto poi si passa e si diventa un oggetto dell’uomo il quale può decidere cosa puoi o non puoi indossare, se puoi uscire con le amiche, per poi finire nella trappola della violenza, non solo fisica. Imbattendosi in quelle che sono le relazioni violente fatte di possesso, sottomissione, controllo, quell’amore ossessivo che ti incatena, ti priva della libertà e che molto spesso ti spezza la vita come se l’uomo avesse il diritto di decidere anche quando è arrivato il momento di mettere fine ad una vita, quante volte abbiamo sentito la frase “o con me o con nessun’altro” ecco questa frase è emblematica e dovrebbe far riflettere tutti sia uomini che donne. Perché il problema del patriarcato non è un problema solo dell’uomo ma anche della donna.

In ricordo di Giulia, molte attiviste sulla violenza di genere hanno sostituito il minuto di silenzio proposto dalla politica con il minuto di rumore perché stufe dell’omertoso non agire di tanti cittadini e cittadine. Qual è la Sua opinione a tal riguardo?

Sono assolutamente d’accordo, basta con questo silenzio siamo state in silenzio oramai per troppo tempo. Il silenzio ci ha portato a questo, alla morte di 106 donne dal 1° Gennaio 2023, noi donne dobbiamo farci sentire, scendere in piazza e fare più rumore possibile per rivendicare quelli che sono i nostri diritti come donne e come esseri umani. Basta prevaricazioni vogliamo la parità, la meritocrazia. Dobbiamo dire basta a tutta questa violenza a tutta questa cultura del possesso della sottomissione e del controllo, dobbiamo cominciare a pretendere la libertà di scegliere cosa vogliamo e cosa non vogliamo e questo non è possibile farlo attraverso il silenzio ma è possibile solo attraverso il rumore forte, bisogna dire un  “BASTA” definitivo a tutta questa cultura omertosa che protegge i maltrattanti e non le vittime.

Entrando nel merito del tema violenza di genere, ci potrebbe illustrare cosa rientra nel novero della violenza? Soltanto la violenza fisica o anche altro?

La violenza di genere è un argomento molto complesso da affrontare in poche righe, cercherò di essere il più esaustiva possibile. Ovviamente la violenza di genere non è solo quella fisica esistono purtroppo tante e troppe forme di violenza nei confronti delle donne e quella fisica è un po’ il culmine di tutte.  Si considera violenza ogni forma di ABUSO DI POTERE E DI CONTROLLO, esiste la violenza psicologica, economica, sessuale, fisica,  esiste la violenza assistita e perinatale di cui non si parla mai, c’è poi lo stalking.

La violenza psicologica è la prima forma di violenza che tende a manifestarsi ed è quella che poi porta allo sviluppo di tutte le altre forme di violenza sopraelencate. Questa forma di violenza  non lascia segni sulla pelle ed è difficile da riconoscere soprattutto da chi si trova all’interno della dinamica violenta, da chi la subisce.  Questa è una forma di violenza molto subdola e si caratterizza da umiliazioni, offese, svalutazioni, isolamento sociale per rendere la vittima più vulnerabile, limitazione della libertà, controllo delle varie scelte di vita.

La violenza economica anche questa forma molto complessa da individuare e consiste nel totale controllo economico da parte del maltrattante nei confronti della vittima.  L’uomo violento porta ad isolare la donna e a sabotare il lavoro che svolge portandola ad una completa dipendenza nei suoi confronti. Le sottrae il denaro o le impedisce l’accesso al denaro, in questo modo il maltrattante limita la possibilità alla vittima di allontanarsi dalla relazione  perché totalmente dipendente in quanto non possiede le risorse economiche adeguate per poter fronteggiare in maniera autonoma le spese della quotidianità.

La violenza sessuale è ogni forma di costrizione nel praticare attività sessuali senza il consenso da parte della donna,  le attività sessuali comprendono qualsiasi forma di atto sessuale o tentativo di atto sessuale non desiderato dalla donna, anche commenti o “complimenti” insistenti non desiderati sono da considerarsi tali in quanto viene utilizzata l’intimidazione, la costrizione o la forza per esercitare autorità costringendo la vittima a compiere o subire atti sessuali.

La violenza fisica è la violenza più visibile perché al contrario di quella psicologica ed economica lascia segni sulla pelle. Le aggressioni possono essere di varia natura, (calci, pugni, schiaffi, spinte….) insomma possiamo definirle come azioni finalizzate a far male e a spaventare la vittima che subisce. 

La violenza assistita e la violenza perinatale, sono due forme di violenza che non vengono mai prese in considerazione o comunque forme poco conosciute.

Con violenza assistita si fa riferimento al maltrattamento che il minore subisce, la maggior parte delle volte i figli della coppia assistono a tutte le forme di violenza perpetrate alla madre da parte del padre. il Cismai (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso dell’Infanzia)  definisce la violenza assistita  come “ il fare esperienza da parte del/la bambino/a di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulti e minori”.

Con violenza perinatale si fa riferimento a tutte le forme di violenza sopra elencate che la donna in stato di gravidanza e il bambino subiscono.

Lo stalking è una forma di violenza da poco riconosciuta come tale, e si manifesta la maggior parte delle volte a termine di una relazione amorosa, dove il persecutore controlla in modo ossessivo la vita della donna ad esempio pedinandola, minacciandola e anche attraverso l’invio di regali quotidiani alla donna sul posto di lavoro, a casa e nei posti da lei frequentati. Questi comportamenti e azioni vengono messi in atto per generare nella vittima paura e ansia compromettendo lo svolgimento della sua vita quotidiana.

Quale ruolo ricopre la famiglia nel ciclo della violenza di genere? E la famiglia di una vittima, come potrebbe aiutare la vittima stessa nel ritrovare la libertà da un uomo possessivo?

La famiglia ha un ruolo significativo nel ciclo della violenza, molto spesso entrambe le famiglie di origine della coppia presentano problematiche di questo genere, pertanto alcuni comportamenti e atteggiamenti sono appresi come “normali” già nella prima infanzia e quando si diventa adulti sia l’uomo che la donna fanno riferimento ai modelli educativi che hanno avuto durante tutto l’arco della loro crescita e formazione.

Sono d’accordo su quanto detto in questi giorni da Elena Cecchettin, sorella di Giulia, definendo Turetta non un mostro o un malato ma “figlio sano della società patriarcale”, ed  è proprio così a mio avviso,  la famiglia e la società sono responsabili di questi modelli educativi tramandati da ormai troppo tempo (video Elena Cecchettin qui).

La famiglia potrebbe aiutare la vittima innanzitutto non isolandola perché è proprio ciò che un maltrattante fa, è importante il sostegno, l’ascolto senza giudizio, il supporto fino ad  accompagnarla verso l’uscita dalla relazione violenta con l’aiuto di professionisti del settore, come centri antiviolenza, che possono senza alcun dubbio indirizzarla verso la strada della libertà.

Per quanto riguardo la prevenzione per non cadere nella ragnatela della violenza, quali azioni preventive andrebbe implementate?

Per prevenire la violenza di genere ciò che è importante fare è sicuramente combattere tutti quelli che sono i costrutti culturali presenti nella società attuale, per fare questo è molto importante parlare con i bambini/e,  ragazzi/e e sensibilizzare su questo argomento anche gli adulti. Innanzitutto ho letto in questi giorni che vogliono introdurre nelle scuole l’educazione all’affettività,  è un primo punto da cui partire che ovviamente non basta però è la base da cui iniziare, inoltre è importante agire anche nei programmi televisivi,  tramite i cartoni ad esempio, o realizzare programmi dove si affrontano discorsi sulle relazioni quelle sane, adatti per i bambini e ragazzi. È  importante cambiare anche l’immagine della donna che viene sempre riproposta nei programmi televisivi, ovvero donne “bella ma con pochi contenuti”, le donne non sono solo belle da mostrare come oggetti ma sono anche altro ed è importante valorizzarle non solo per la bellezza ma anche per la professionalità, l’intelligenza e per tutte quelle caratteristiche che le donne possiedono ma che la maggior parte delle volte vengono riconosciute solo agli uomini.

È molto importante affrontare spesso questi argomenti e non solo il 25 Novembre, perché la violenza di genere è un problema quotidiano e non solo di un giorno.

Arifi, le donne che attualmente stanno patendo una violenza, quali strumenti hanno per ritrovare l’autodeterminazione? In Valle Peligna la donna vittima di violenza, oltre le forze dell’ordine, chi potrebbe contattare per ricevere un supporto?

Le donne che attualmente subiscono violenza possono innanzitutto aderire ad un percorso di uscita da quella che è la relazione violenta rivolgendosi al servizio sociale del comune di provenienza e/o ai centri antiviolenza presenti sul territorio, che offrono supporto psicologico, legale e sociale a titolo gratuito e possono aiutarla anche nel reinserimento sociale e lavorativo così da poter permettere alla donna il raggiungimento della piena  autonomia per supportarle ad allontanarsi dal maltrattante.

Esiste poi un numero fondamentale da poter contattare,  il 1522 (numero nazionale antiviolenza) attivo h24, rispondono in 11 lingue differenti e sono operatrici specializzate, mediatrici culturali, avvocate e anche esperte di disabilità.  Non è un numero da chiamare solo per le emergenze, ma offrono supporto, ascolto, informazioni tutto in modalità gratuita, inoltre l’operatrice al telefono indirizza la donna al centro antiviolenza più vicino.

Secondo Lei quali azioni dovrebbero adottare i rappresentanti politici per promuovere una cultura non patriarcale e non violenta? La classe politica è culturalmente pronta per progettare tale cambiamento?

I rappresentanti politici dovrebbero promuovere una cultura a favore della parità dei sessi  dove a privilegiare non è solo l’uomo ma la meritocrazia al di là del sesso biologico. È importante parlare di quanto è fondamentale il linguaggio di genere per produrre un cambiamento. Dovrebbero impegnarsi a promuovere più campagne di informazione contro la violenza sulle donne e contro la cultura patriarcale, prevedere più fondi economici per le donne vittime di violenza.

Non credo però che la classe politica che attualmente ci rappresenta possa  essere pronta a questo cambiamento, perché è un po’ lo specchio di questa società così radicata in una cultura fortemente patriarcale.

Infine, Arifi lancerebbe un appello alle donne oggi vittime di violenza?

Alle donne che subiscono violenza ad oggi direi che non sono sole, che devono avere la forza e il coraggio di uscire dalla relazione violenta anche se non è facile, ci sono tante realtà che possono aiutarle ma devono cogliere l’aiuto e a non permettere al maltrattante di privarle della libertà che ognuno di noi merita.

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