PREMIO ARPEA: PARLA IL VINCITORE MONTERISI

Savino Monteresi, vinvitore Premio Mario Arpea

Intervista allo Scrittore-restante nonché Professore Savino Monterisi. Da sempre comunista eterodosso e attivista politico. Recentemente ha vinto sia il prestigioso Premio Mario Arpea che il riconoscimento speciale del Presidente del Premio Majella con il suo secondo libro Infinito Restare (Radici Edizioni, 2022). Già autore del libro Cronache della Restanza.

STORIA POLITICA SAVINO MONTERISI

Mi sono sempre occupato di questioni legate alla città di Sulmona e più in generale alla Valle Peligna. Nel 2015 ho deciso di tornare a vivere in Valle da Roma e, insieme ad altri compagn*, abbiamo dato vita al Collettivo AltreMenti Valle Peligna. La nostra principale attività è stata l’attivismo nella lotta No Snam, insieme ai Comitati cittadini per l’ambiente, poi sfociata nella storica manifestazione contro la centrale e il gasdotto che ha visto la partecipazione di 10 mila persone il 21 aprile 2018. Con AltreMenti ci siamo occupati anche della chiusura della biblioteca dell’APC, dell’animazione del Centro Giovani,  del controllo popolare durante e nel post-incendio del Morrone, della memoria di Oscar Fuà e di Carlo Tresca, delle lotta per la verità per Stefano Cucchi contro gli abusi della divisa. Sono stato anche candidato due volte candidato alle elezioni comunali di Sulmona con la lista di SBIC – Sulmona Bene in Comune. L’ultima volta, nel 2016, presi 242 voti  risultando il 13esimo più votato. Una bellissima manifestazione d’affetto della città per me che non ho nessuno alle spalle e sono figlio di due operai che hanno perso il lavoro durante la crisi dell’industria in Centro Abruzzo.

INTERVISTA A SAVINO MONTERISI

Monterisi lei è un ambientalista nonché paesologo, non so se le piace quest’ultima etichetta, e recentemente ha vinto sia il prestigioso Premio Mario Arpea che il riconoscimento speciale del Presidente del Premio Majella con il libro Infinito Restare(Radici Edizioni, 2022). Questa vittoria è il coronamento del Suo percorso politico?

Non mi sento assolutamente un paesologo, anzi la paesologia ha manifestato diverse lacune e problemi nella narrazione dei Paesi. Non mi sento neanche un ambientalista, perché l’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio. Le lotte sociali e quelle ambientali devono andare di pari passo. Faccio mio il motto: non c’è giustizia ambientale senza giustiziale sociale. È difficile trovare un’etichetta che possa rappresentarmi a pieno, sento di portare avanti le lotte dei più deboli, se proprio dovessi trovare una categoria politica – magari un po’ novecentesca – direi che sono stato e resto un comunista eterodosso. I premi credo siamo stati un riconoscimento letterario ma anche politico: un ringraziamento per questo va al grande lavoro della casa editrice Radici Edizioni, impegnata a veicolare sguardi inediti sull’entroterra e sui paesi, alternativi a quelli mainstream.

Entriamo nel merito della Sua restanza, perché non accetta che i Paesi vengano definiti dai più “Borghi”? Qual è, secondo il Suo punto vista, la differenza tra un borgo e un paese?

La Restanza è un concetto dell’antropologo calabrese Vito Teti che ho preso in prestito e l’ho calato nel contesto centro appenninico. Il problema legato alla terminologia Borgo è che, dal Covid in poi, questa parola non è più un sinonimo neutrale della parola Paese ma è diventato un termine ideologico: cioè rappresenta una precisa idea di luogo. In altre parole il borgo è un Paese votato solo al turismo, alla valorizzazione del patrimonio immobiliare e più in generale al consumo dei luoghi, per dirla con una battuta, come ho scritto nel mio libro: il borgo è un paese che non ce l’ha fatta. Perché nella realtà, il Paese è innanzitutto il luogo delle persone che lo abitano, fatto di relazioni, storie, tradizioni, culti, memorie e tanto altro. È poi un luogo di produzione e non di consumo, si pensi alla montagna degli impianti sciistici oggi votata soltanto al consumo e all’estrazione di valore. Il borgo in definitiva è l’idea introdotta dall’archistar Boeri di un ricovero di pace, tranquillità, tipicità e autenticità per ricchi abitanti di città.

Monterisi lei è tornato a vivere nel 2015 in Valle peligna, ha trovato altri ragazzi che come lei hanno abbracciato la c.d. restanza?

In questi anni in tanti sono tornati a vivere qui, molto speso con intenzioni buone per i Paesi e quindi con progetti e con la voglia di fare qualcosa per il territorio. Ma spesso questi giovani si scontrano con amministrazioni comunali vecchie, non solo anagraficamente ma anche di mentalità, con piccoli potentati locali che controllano i paesi e più in generale con una Valle che, finito il mito dell’industria degli anni passati, non ha capito ancora cosa vuole essere da grande. Nella Valle Peligna manca una riflessione collettiva sulla visione generale, nessuno ha idea di cosa deve essere questo territorio, quali linee di sviluppo perseguire, su quali peculiarità puntare. La vera mancanza nella Valle Peligna è questa: un rimosso di cui politica e abitanti non si occupano.

Per quanto riguarda la trasparenza amministrativa, qual è la sua opinione sui fondi pubblici elargiti a pioggia dagli enti pubblici per i Cartelloni Estivi? Qual è la Sua opinione, ad esempio, sulla ricca estate del comune di Prezza?

Penso che sulla trasparenza non possiamo semplicemente applicare la logica dei grandi comuni a quelli piccoli. C’è un problema di personale al servizio dei Comuni. Questo non li esonera ad essere opachi nei confronti dei cittadini, ma resta comunque un dato di fatto, molto spessi questi arrancano proprio per la mancanza di dipendenti e a farne le spese sono anche i processi di trasparenza. Sui Cartelloni Estivi a me da più di una preoccupazione che trasformino i Paesi in villaggi turistici per due settimane e poi si muoia di inerzia e noia per i restanti 11 mesi. Su Prezza non entro nel merito, credo che i sindaci utilizzino i fondi regionali come meglio desiderino, poi semmai saranno i cittadini a giudicarli con il voto. In generale credo si debba puntare di più ad eventi per gli abitanti e meno a quelli per i turisti, spendere questi soldi per portare la Cultura – quella vera con la c maiusola – nei paesi (approfondimento qui).

Servizi pubblici: i Paesi, per definirsi ancora tali, di quali servizi pubblici necessitano al giorno d’oggi? Secondo Lei, gli Amministratori pubblici dovrebbero investire sulla modernità o sulla lentezza legata all’autenticità dei Luoghi?

Gli abitanti dei paesi necessitano di tutti i servizi pubblici di cui necessitano in città, perché noi non siamo abitanti di serie B. Servizi come scuola, trasporti e sanità sono prioritari, poi non bisogna trascurare i servizi culturali, ma anche la formazione lavorativa volta alla salvaguardia e alla trasmissione di saperi e competenze di tutte quelle attività artigianali e agro-silvo-pastorali che rischiano di scomparire. Per quanto riguarda le scelte politiche degli Amministratori pubblici, secondo me autenticità e lentezza non significano niente. Ogni paese ha i suoi punti di forza e le sue peculiarità. Quello che consiglierei agli amministratori è di ragionare con le proprie comunità su cosa salvaguardare e come tutelare le tante attività produttive che hanno uno stretto legame con il territorio. Penso appunto all’agricoltura, all’allevamento, all’artigianato. Attività spesso sottovalutate rispetto a quelle turistiche che vengono invece viste come la panacea di tutti i mali.

Savino, una domanda che pongo a tutti gli intervistati, la diabolica vicenda del Cogesa ci insegna qualcosa? E cosa pensa delle consulenze onerose elargite a pioggia dalla governance della Società?

Per me gli enti sovracomunali senza il controllo popolare sono solo dei bancomat a disposizione delle varie fazioni politiche. Le consulenze sono  un vecchio vizietto della politica e nel caso di Cogesa sarebbe interessante entrare nel merito e conoscere cosa hanno riguardato nella pratica queste consulenze (approfondimento qui).

L’emblematica vicenda Cogesa potrebbe comportare, in caso di fallimento della Società, in default finanziario molti Comuni. Non crede che la mala-amministrazione dei c.d. carrozzoni pubblici diminuisca le possibilità che si torni alla vita di paese?

Innanzitutto la vicenda Cogesa al momento è un fallimento per tutti, noi compresi. Io credo che gli enti sovracomunali se guidati da persone valide e prive di interessi personali possono funzionare bene e lavorare per il territorio, come dimostra la breve parentesi della governace di Gerardini. Questa ci ha dimostrato che la Società dei rifiuti può essere governata in modo ragionato e utile. Infine quello che dice Lei è assolutamente vero: la mala gestione significa più tasse e meno soldi per i cittadini e questo potrebbe portarli altrove, ma significa anche meno merito, più raccomandati e tante valide persone costrette ad emigrare per mancanza di opportunità.

Qual è il suo punto di vista sulla “Crisi Sulmona”? Come si spiega la rottura precoce degli assetti politici della maggioranza comunale?

Non desidero entrare nel merito della crisi in atto, ma penso che questa sia figlia della fine dei partiti come luoghi di dibattito politico. Oggi un sindaco è costretto a confrontarsi con 10 consiglieri che rappresentano solo se stessi. In passato un consigliere comunale era espressione di un partito e quindi di una comunità di valori a cui doveva rispondere. Questo al momento è il grosso problema di Sulmona, ma più in generale del resto del Paese. A Sulmona non c’è più la politica dei partiti da almeno quindici anni, non si dibatte più di politica in nessun luogo, le crisi ne sono semplicemente la conseguenza (approfondimento qui).

Infine, se cadrà la giunta Di Piero, le piacerebbe assumere il ruolo di leader politico di una coalizione di sinistra per governare Sulmona?

Credo che una proposta del genere mi lusingherebbe non poco ma attualmente non è la mia prospettiva di vita – politica e non. In questo periodo della mia vita non sono interessato alla politica elettiva. Vorrei continuare a portare avanti le lotte territoriali di cui mi occupo e a raccontare storie di paesi e di vita negli Appennini, come faccio nei miei libri e con il giornale Il Germe.

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