L’Avvocato Alessandro Scelli è iscritto all’albo degli Avvocati di Sulmona dal lontano 23 marzo 1991 e si occupa “principalmente, ormai quasi esclusivamente, di diritto e procedura penale“. Dopo l’intervista all’Avvocata nonché Consigliera del Comune sulmonese Teresa Nannarone, l’Avvocato Scelli ci espone il suo punto di vista sul “Caso Ciaccio”.
INTERVISTA ALL’AVVOCATO ALESSANDRO SCELLI SUL “CASO CIACCIO”
Avvocato, andiamo dritti al punto. Consentire a Ciaccio il reinserimento nella società non è parte del garantismo dettato dalla Costituzione italiana?
Premetto di essere da sempre restio sia alla cosiddetta “spettacolarizzazione” della Giustizia, sia a qualsivoglia intrusione in aspetti e circostanze che sono di esclusivo compito della Magistratura. Compito da svolgere rigorosamente nei luoghi consoni, cioè nelle aule di giustizia.
Nel caso di specie, prima ancora di scomodare i dettami della nostra Carta Costituzionale, ritengo sia più appropriato affrontare il problema dal punto di vista strettamente ed indissolubilmente legato alla Legge in materia, più propriamente al cosiddetto Ordinamento Penitenziario.
Il nostro Legislatore, sicuramente tenendo ben saldi i principi cardine sulla rieducazione di un condannato stabiliti dalla Costituzione, ha espressamente previsto i casi in cui un detenuto, durante la regolare esecuzione della sua pena, può beneficiare di alcuni vantaggi. Tali vantaggi, con le dovute proporzioni, possono essere applicati anche in caso di pene derivanti da delitti legati alla criminalità organizzata.
Se è vero, come è vero che il terzo comma dell’art. 27 della Costituzione statuisce in maniera netta e senza alcun dubbio che “le pene….devono tendere alla rieducazione del condannato”; è altrettanto vero che la normativa prevista dall’Ordinamento Penitenziario impone dei parametri invalicabili che, in ogni caso, devono essere applicati dal Magistrato o dal Tribunale di Sorveglianza.
Secondo lei, qual è il ruolo della politica in tutto questo?
Non conoscendo se non dai resoconti mediatici la vicenda del detenuto Ciaccio, ritengo, però, che il cittadino, ma soprattutto i rappresentanti istituzionali che lo stesso elegge, debbano assolutamente credere nella Giustizia e nelle sue decisioni e magari non cadere nella “tentazione” di discriminare la natura umana a seconda del titolo di reato per il quale un reo è stato condannato.
Ribadendo quanto già detto, la Carta Costituzionale non fa (e non avrebbe potuto mai fare) distinzioni di “classe” tra un cittadino e l’altro. L’unico compito che penso sia canonicamente il “ruolo della politica” sia quello di stabilire, così come costantemente viene fatto, l’aggiornamento del sistema giustizia (inteso come integralmente comprensivo) all’evolversi della natura umana e delle conseguenti tipologie di reati.
Non crede che l’esposizione mediatica del “caso Ciaccio” possa mettere a repentaglio l’incolumità fisica del mafioso?
La domanda impone una riflessione profonda, soprattutto sul senso del beneficio -che, ripeto, non conosco nei dettagli ma che penso sia stato ponderato e valutato in tutti i suoi aspetti- concesso al detenuto. L’esposizione mediatica, nell’era dei cosiddetti “social”, è divenuta una parte quasi integrante dei modi e dei costumi della nostra società.
Costanti sono i “rimbrotti” e le critiche che si muovono a volte ai giornalisti o in ogni caso ai divulgatori se, soprattutto in caso di arresti o di misure cautelari si pubblicano o meno le generalità dei destinatari.
Sicuramente il caso ha destato scalpore (e non poteva essere diversamente in una realtà come la nostra dove il termine “mafia” è sempre stato solo vissuto con superficialità e per merito dei resoconti giornalistici) e mi auguro che anche in questo caso “l’incolumità fisica” resti sempre e doverosamente salvaguardata, anche se si tratti di “mafioso”.
Qual è il rapporto, e cosa prevale, tra il diritto della cittadinanza di conoscere quali mafiosi beneficiano di permessi premio e il diritto del mafioso al reinserimento sociale? Ci può essere una maggiore trasparenza?
L’Italia, fortunatamente, è una nazione dove la libertà di stampa è sempre e aggiungerei fortunatamente tutelata dall’Ordinamento Giuridico. Sul “diritto della cittadinanza di conoscere quali mafiosi beneficiano di permessi premio” avrei una modesta e personalissima perplessità, vigendo la normativa che garantisce la riservatezza dei dati personali in ogni occasione. A tal proposito, tale normativa non prevede deroghe o esclusioni, anche in casi del quale si sta discutendo in città in questi giorni.
Quanto al reinserimento sociale, mi permetto solo di ricordare che tale valutazione non è lasciata (aggiungo anche qui l’avverbio fortunatamente) alla valutazione dei cittadini o della “politica”; ma al ponderato giudizio della Magistratura, nei vari gradi di giudizio.
Forse, ma è un mio pensiero rigorosamente personale, in alcuni casi, quale quello di cui trattiamo, la “maggiore trasparenza” dovrebbe lasciare il posto alla sommessa rieducazione, costituzionalmente garantita, di un condannato in espiazione di pena.
In conclusione, il Comune di Sulmona quali azioni dovrebbe intraprendere, nell’immediato, sulla questione Ciaccio?
Non penso di potere essere in grado di valutare le “azioni che dovrebbe intraprendere” il Comune di Sulmona, anche e soprattutto perché, ripeto da quello che ho letto dalle cronache, non mi sembra possa esserci stata (e non poteva non essere così) qualsivoglia interferenza nei riguardi del Tribunale di Sorveglianza di L’Aquila che ha adottato il provvedimento, tra l’altro, sempre leggendo, apparentemente impugnato dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione dalla Procura Generale presso la Corte d’Appello di L’aquila.